Esistono molte leggende sulla nascita dell’Amarone. Tra le più accreditate c’è quella che racconta del ritrovamento, nella primavera del 1936, di una botte di recioto dimenticata in cantina da parte di Adelino Lucchese, capocantina della Cantina Sociale della Valpolicella. Spillando il Recioto Amaro dal fusto di fermentazione, esclamò: “Questo non è un Amaro, è un Amarone”. Da qui il nome di questo vino che è diventato ormai uno dei capisaldi del Made in Italy.

La storia vera, però, è un'altra.

Siamo negli anni 50’. Capitava molto spesso che grandi quantità di recioto divenissero secco perché la fermentazione non si arrestava al momento giusto e quindi questo vino diventava amaro. A quei tempi i palati erano abituati ad un gusto più dolce. Per cui, questo vino non veniva venduto e restava in gradi quantità nelle cantine.

I fratelli Bertani decisero di usare questo recioto andato a male per produrre un vino che potesse in qualche modo assomigliare al Nebbiolo. Per cui, chiesero al prof. Ernesto Barbiero, enologo dell’Università di Asti, di assisterli nel progetto. Dopo vari assaggi il prof. Barbiero capì subito che questo vino, migliorato nel residuo zuccherino e nell’acidità, poteva dare delle sensazioni uniche, che non avevano, però, nulla a che fare con il Nebbiolo.

Seguirono vent’anni di fallimenti in cui le bottiglie di Amarone rimasero quasi totalmente invendute fino a quando., in una fiera di New York, fu aperta una bottiglia di questo vino e si scoprì che nel tempo era diventato un vino emozionante, dalla grandissima struttura, dal grande corpo e dall’enorme potenzialità di invecchiamento.

Quindi, quando si parla di amarone si parla di Bertani perché è grazie alla perseveranza dei fratelli Bertani che l'amarone ha fatto un passo in avanti ed è divenuto quel prodotto che oggi nel mondo tutti conoscono e ci invidiano.

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