Nel 2016, lo Château d'Yquem è entrato nel Guinness dei primati come il vino bianco più costoso al mondo. Una bottiglia del 1811 è stata acquistata per 75mila sterline, pari a circa 85mila euro, da Christian Vanneque, ex capo sommelier presso il ristorante Michelin La Tour d’Argent a Parigi e ora proprietario del SIP Sunset Grill a Bali. Vanneque ha esposto la pregiata bottiglia in una teca nel suo ristorante fino al 2017, quando l’ha aperta per festeggiare il cinquantesimo anniversario della sua carriera. Il 1811 è considerata dagli esperti un’annata unica. Il clima è stato straordinario, ma soprattutto è stato l’anno del passaggio della Grande Cometa. Ma, al di là della straordinarietà dell’annata, lo Château d'Yquem resta comunque uno dei vini più costosi al mondo. ma Cosa rende, questo vino così unico?     

Innanzitutto, lo Château d'Yquem è un Sauternes. Si tratta cioè di un vino proveniente da una piccola enclave nelle Graves, a sud-est di Bordeaux, dove esiste un terroir perfetto per lo sviluppo della botrytis cinerea (la muffa nobile). Si tratta perciò di un vino dolce, ma che si caratterizza per una tale complessità e struttura da renderlo molto più adatto ad abbinamenti con pietanze salate. Lo Château d'Yquem, però, non è solo una Sauternes, ma è il Sauternes. La storia della denominazione, infatti, la si può quasi far coincidere con quella di Château d’Yquem, che da sempre ne ha costituito la massima espressione. Nel 1855, quando l’imperatore Napoleone III chiese di redigere una classificazione dei migliori vini della regione di Bordeaux per l’Esposizione Universale di Parigi, lo Château d’Yquem ottenne una categoria a sé, premier cru supérieur, al di sopra dei cinque livelli previsti e nessuno si è mai sognato di metterne in discussione il primato.

 Questa tenuta, che si trova all’apice di una collinetta proprio nel paesino di Sauternes, ha una storia che dura oltre quattrocento anni . Sotto il controllo del Re d’Inghilterra fino a metà del ‘400, venne affidata alla famiglia Sauvage verso la fine del ‘500. Nel 1795, Françoise Joséphine de Sauvage d’Yquem sposa il Conte Louis Amédée de Lur Saluces, che aimè muore quasi subito, ma dà così il nome alla famiglia che ha condotto l’azienda fino a pochissimo tempo fa. Sotto gestione di  Romain-Bertrand de Lur Saluces arriva il riconoscimento di unico Premier Cru Supérieur nella classificazione del 1855. - ma venendo ai giorni nostri, la tenuta del 1999 fa parte del colosso finanziario LVMH, entrando, insieme ad altre Maison di Champagne come il moet & chandon o il krug , a far parte dei marchi del lusso.

Malgrado ciò ha mantenuto il suo carattere fortemente artigianale, legato al territorio e alla capacità degli uomini che vi lavorano. I chicchi sono selezionati ad uno ad uno con continui passaggi in vigna, normalmente cinque ma anche fino a dieci, in un arco di tempo che dura almeno un mese e mezzo; dunque, con costi elevatissimi. Ma il vero patrimonio alla base del successo di questo vino sono le persone che lavorano quotidianamente in vigna. Una ventina di loro, con le loro famiglie, da sempre vive quasi in una sorta di comunità, con la responsabilità del controllo e della conduzione di una porzione di vigneto. I terreni vengono concimati a rotazione quinquennale con il solo compost. Non vengono mai utilizzati diserbanti chimici. In vendemmia si arriva a centoquaranta persone, tutte perfettamente addestrate a saper selezionare ed a portare in cantina solo gli acini perfettamente disidratati provenienti dai 700.000 ceppi in produzione. La resa difficilmente supera i 9 ettolitri per ettaro, cioè un bicchiere per pianta. La fermentazione avviene in barrique nuove e dura per un periodo che può raggiungere anche le sei settimane, quando il tenore alcolico si fermerà attorno ai 13,5%. Infine, una lunga maturazione in legno con continue colmature e soutirage trimestrali, che durano fino alla quarta primavera successiva alla vendemmia.

Ma nulla va dato per scontato. Nel Novecento, infatti, i millesimi non imbottigliati sono stati ben nove: 1910, 1915, 1930, 1951, 1952, 1964, 1972, 1974 e 1992. Il controllo è rigidissimo anche nelle fasi successive. Nel 1979, 4/5 della produzione in barrique è stata venduta come Sauternes generico senza marca perché non ritenuta degna. Non aspettatevi di trovare queste bottiglie nei normali canali di vendita, Ma le sue unicità non si limitano alla fase produttiva e comprendono la commercializzazione, visto che a differenza degli altri cru bordolesi non viene mai negoziato ufficialmente prima della sua messa in bottiglia, attenuando ma non eliminando le speculazioni. Da qui iniziano i tanti passaggi di mano, ma Non c’è asta al mondo che non si chiuda con la vendita qualche sua bottiglia almeno ultradecennale. Bottiglie che spesso finiscono per sorprendere per la loro integrità e la perfetta bevibilità. Ma cosa attendersi allora dall’opera del tempo? E come va bevuta una bottiglia del genere?

Qui non ci possiamo che attenere a quanto abbiamo trovato in Rete. Purtroppo, non ci possiamo permettere di degustare neanche una goccia di questo vino. Tanto più se parliamo di annate storiche. Da giovane fa sentire la sua dolcezza ed avvolge con sensazioni fruttate, burrose, iodate e vanigliate. Poi a vent’anni comincia ad evolvere verso sentori più maturi, di dattero e frutta tropicale disidratata, con ancora una bocca dolce e segnata da tante spezie ed un filo di affumicatura. A quarant’anni comincia tirar fuori con prepotenza l’impronta del terreno, con una profonda mineralità e spezie ancora più complesse. Dopo altri vent’anni si fonde in un tutt’uno, con lo zucchero inscindibile ai sensi, per sensazioni via via sempre più difficili da raccontare, come le note di tè verde e tabacco da pipa fuse ad un frutto che rinasce quasi più fresco degli inizi. Infine gli Yquem centenari, che raccontano di note chinate, cuoio, della stiva di una nave coloniale dal ritorno dalle Indie. Ed è bello mangiarci con questi vini. Questo vino non può mai essere degustato da solo. L’abbinamento deve essere ideale. Un grande Roquefort, ma molto meglio grandi piatti altrettanto complessi, a base di foie gras o di maialino o perfino di piccione, per i millesimi più vecchi.

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